Cocktail

“Dio, Marcus che ti prende?”
Ma Marcus non mi risponde.
“Rischiamo di cadere!”
Niente. Mi si accascia addosso con le sue dita tozze che si avvinghiano intorno alla faccia. Al collo.
“Cristo..”
Metto un piede sul suo torace e lo spingo via. Tossisco, ma non ho il tempo per riprendermi. Devo fare troppe cose.
“Che cazzo fai? Sono Joseph”
Parlo nella vana speranza che qualcosa cambi, ma non sono scemo e non mi illudo. Parlo mentre tento di slacciarmi la cintura, ma le mani mi tremano.
Sta tornando. Scavalca il sedile e fa una specie di balzo mollo. Come un predatore senza voglia di cacciare.
Faccia appena in tempo a staccarmi la cinghia, ma non abbastanza per tirare su la closh. Mi cade addosso con i suoi novanta chili.
Dolore. Non so dove, ma sono sicuro che ci sia. Un rumore metallico e i miei denti digrignano. Mi monta un po’ della vecchia sana rabbia e gli mollo due pugni sullo zigomo destro. Sembra che mi sia fatto male solo io.
Le sue dita di nuovo su di me. Mi divincolo tra gomitate e calci. Cado dietro il sedile da pilota.
L’aereo è a poche decine di metri dall’acqua. Oramai non posso più fare niente.
Prendo il paracadute e lo allaccio più in fretta che posso guardando verso il posto di guida. Marcus si stava rialzando.
Faccio un respiro profondo. Lanciarsi con l’agitazione non è raccomandabile. Apro il portellone. Per poco non vengo scaraventato via dal vento. Prendo un altro respiro, ma è Marcus a buttarci fuori.
Aria.
Volteggio in aria scorgendo un alternarsi rapido di blu e azzurro. Precipitiamo pesanti. Se il paracadute non si apre so che toccheremo il fondo da quanto siamo pesanti. Da quanto sono pesante.
Corro con le dita sulle cinghie. Trovo il cordino e lo tiro.

Quello che è successo lo riesco a ricostruire solo ora, sospeso nel mare.
Il paracadute che si apre a una decina di metri dal filo dell’acqua. Sono mal messo. Sento uno strattone violentissimo, ma Marcus lo sente di più. Per rimanermi attaccato si tiene al braccio. Cadendo lo tira, ma lo molla subito dopo.
Dio, perché ci sto pensando ora?
Rinvengo e nuoto verso la superficie usando solo il destro. Capisco che il sinistro è slogato.
Esco fuori. Provo a respirare, ma non ci riesco. Il paracadute mi si appiccica alla faccia tappandomi la bocca.
Panico. Aria. Ho bisogno d’aria.
Dopo diversi tentativi riesco a rivedere il sole che mi acceca. Strizzo gli occhi e respiro.
Respiro tanto. Respiro per essere più leggero.
Galleggio a malapena.
Tolgo il peso in eccesso. Rimango con il salvagente e non so cosa. Non riesco a ricordarmi cosa ho in dosso. Non riesco a ricordarmi nulla perso nello shock. Mi abituo alla luce del sole e guardo, ma senza vedere. Perso nello shock.
Acqua.
Rinsavisco un poco. Agito le gambe ora per girarmi e cercare qualcosa. Mi volto più e più volte.
Trovo soltanto un ricordo. Mi sono sbagliato. Lanciandomi dall’aereo ho pensato che mi sarei tuffato in mare.
Ma è l’oceano.
Se piango ora non cambia nulla, quindi provo a fare mentelocale.
Partenza, Lisbona. Destinazione Portorico.. mai raggiunta. Ore in volo: sei.
Non piango, ma vorrei.
Mi riguardo in torno. Strizzo gli occhi per vedere oltre i riflessi del sole che mi guarda da Ovest. Vedo qualcosa che galleggia. E’ il giubbotto di salvataggio che mi ero scordato di indossare.
Sbraccio a fatica sempre solo con il destro e dopo poco mi ci aggrappo.
Respiro ancora affannato con un po’ più di speranza.
Lo indosso con cautela. Provo, a risistemarmi il braccio, ma fa troppo male.
L’istinto di sopravvivenza mi dice di cercare e non smettere mai.
Dopo un po’ trovo qualcosa. Un punto. Una persona.
Marcus.
Sembra fare il morto, cullato dall’oceano.
Una stretta al cuore e la paura che sale. Cosa faccio?
Aspetto.
Galleggio. Guardo se si muove. Niente.
Passati minuti interi Marcus fa il morto e si ostina a rimanerci. Povero Marcus. Avremmo volato più noi due insieme di chiunque altro.
Mi spingo verso di lui, senza capirne il motivo. O forse si, lo capisco. Marcus era mio amico.
Nuoto scalciando a fatica.
Vorrei che stesse bene. Vorrei che fosse rinvenuto.
Mi avvicino.
Potremmo parlarci e farci coraggio a vicenda. Potremmo dirci che è stato tutta una brutta storia che affronteremo insieme come tante altre.
Mi avvicino ancora.
Ne usciremo insieme. Ci verranno a cercare. Sapranno che non siamo atterrati.
Mi avvicino.
Ma quando lo raggiungo, Marcus fa il morto dal lato sbagliato.
E’ inutile piangere nell’oceano perché è già salato, sono le parole di un parente lontano.
Ma non mi importa e lo faccio lo stesso.
Lo voglio voltare per chiudergli gli occhi e dirgli addio. È stupido, ma è una scusa per vederlo in faccia.
Gli metto la mano buona sotto l’ascella per capovolgerlo.
Lo tocco.
Gesù!
Marcus fa uno scatto come chi è sorpreso a dormire e viene svegliato.
Si agita e mi attacca.
La sorpresa mi fa bere l’acqua salmastra e mentre succede Marcus mi balza sopra e cerca di affogarmi.
Non vedo più niente. Le mie bolle mi accecano.
Mi agito e tiro i pugni a vuoto.
Non so che fare. Allora mi invento qualcosa.
Faccio una mezza capriola e uso il suo corpo per spingermi ancora più a fondo. Ma non serve a molto per il salvagente. Nuoto a delfino più lontano possibile.
Esco. Respiro. Mi volto.
Marcus mi è già addosso. Comincio a nuotare più velocemente che posso per allontanarmi, ma lui non molla. Si avvicina.
Gli pianto un tacco sul naso. Lo sento rompersi sotto la mia suola.
Si blocca stordito il tempo necessario per darmi modo di allontanarmi. Lo guardo da distante e rallento un po’. Il cuore mi batte all’impazzata. Non riesco a credere a nulla di ciò che sta succedendo.
Marcus mi fissa.
Marcus.. o qualunque cosa sia diventato.
Mi guarda senza vita. Non si muove. Torna a fare il morto.
Provo a rilassarmi un momento per riprendere le energie, ma non smetto di sbattere stancamente i piedi.
Passa il tempo. Frequentemente lo guardo per vedere che non si avvicini.
Non si avvicina, ma non si allontana nemmeno. Saranno le correnti che ci trasportano o mi sta seguendo?
Non riesco nemmeno a capirne la ragione di tutto ciò. Nell’incertezza continuo a sbattere i piedi.
Sono stanco morto. L’adrenalina. Lo spavento. Il combattimento.
Galleggio con il salvagente. I piedi nuotano sempre più lentamente.
Sono a pezzi. La spalla mi fa male. La pelle mi brucia sotto il sole e il sale. Le nocche rotte della mano destra le sento muoversi. Maledetti zigomi duri. Forse i più duri.
Sono stanco. Penso a cosa sta succedendo. Penso a cosa sarebbe potuto succedere. Ma soprattutto, penso a cosa mi sarebbe piaciuto che succedesse.
Arrivati a Portorico. Finito il lavoro. Consegnato il carico. Sdraiato sulla spiaggia. Accarezzato dal vento. Mentre le onde mi cullano.
Sorretto dal salvagente sento la sabbia sotto i polpastrelli. Il grido dei gabbiani. Le foglie di palma che frusciano. Onde che si infrangono nel bagnoasciuga. Bevo il mio cocktail alla frutta in un cocco.
Una ragazza mi dice qualcosa. Le rispondo di si, che va bene. Che tutto va bene. Sono felice.
La ragazza torna con un’altro cocktail, ma dice che non me lo vuole dare. Fisso il coctail che è molto strano. Pare un telecomando. Guardo di nuovo lei e lei ha un occhio nero. Il labbro spaccato. E ride. Ride tantissimo. Troppo.
Mi disturba!
Sento in lontananza un elicottero. Le sue pale fanno un rumore assordante che si fa sempre più forte. Sempre più forte. Sempre più forte.
Poi capisco che quel suono.. sono io.
Mi sveglio di soprassalto per degli schiaffi sull’acqua. Mi volto appena in tempo per vedere Marcus che nuota selvaggio. Vuole di nuovo di affogarmi. Scalcio subito le sue dita dalle mie caviglie che gli avvicino allungandomi per nuotare via.
Schiaffeggio anche io l’acqua con foga per nuotare più lontano possibile da lui. Ma lui mi segue senza sosta, senza fatica, come un mostro, un demone. Senza bagliore negli occhi.
Il cuore mi pulsa, mi batte. Ho paura.
Perché non mi lascia stare? Perché non se ne va?
“Cosa vuoi da me?!”
Pare rallentare. Senza tregua nuoto ancora più veloce per allontanarmi. Il braccio sinistro mi fa un male dell’anima, ma non posso fermarmi. Lo distanzio. Nuoto e nuoto, ma non so dove andare.
Sento una fitta al cuore. Mi sale il magone. A cosa mi serve nuotare se c’è solo l’oceano ad abbracciarmi?
Mi accarezza l’idea di lasciarmi prendere. Di lasciarmi annegare.
Scivolare fra le braccia dell’oceano.
Sentire la pace.
Ma di nuovo lo ‘ciaf ciaf’ delle bracciate frenetiche di Marcus mi risvegliano e io non voglio morire.
Non voglio morire!
“Pietà!”
Mi viene da urlare mentre mi aggrappo disperatamente alla vita.
“Pietà!”
Grido ad un’anima sorda che non mi dà tregua.
Gli occhi e i muscoli mi bruciano dalla fatica, dalla tensione. Ma ancora una volta riesco a distanziarlo.
Cosa vuole quell’abominio da me e cosa gli ho fatto per non farmi dare pace?
Ad ogni bracciata stanca che do il mio pensiero si fa più convinto che il demonio si sia impossessato di lui. Un diavolo che uccide nel corpo di uomini chi è solo, chi si è perso, e che si diverte con la preda.
La insegue e la lascia andare, la insegue e la lascia andare.
Aspetta solo che io sia morto di faticha.
Un mostro che mi ha scelto.
Questa è la spiegazione perché altro non può essere.
Perché Marcus non mi farebbe mai una cosa del genere. Lui non vorrebbe mai che io morissi.
Perché Marcus è l’unico che… non mi ha mai giudicato.
“Quello che ti voglio dire è che sei troppo uno stronzo. Senti a me. Rimaniamoci! Le spiagge. I cocktail. Le ragazze! Che è una stronza l’abbiamo capito, ma cosa serve farsi del sangue marcio che poi finisce che ti infratti con la polizia. Dimenticala! Sfogarti su di lei non serve. Dico bene o no? … Eh? Sto parlando con te! Dai, non ti sarai offeso … UOOOH! E questo che cazzo vuol dire? Dai, ritiralo su.. non fare scherzi stupidi lo sai che non mi piacciono. Forz.. forza amico. Così ci schiantiamo … Va bene, va bene. Calma. Ho capito. Ti prendo le pillole. Te le prendo io che.. eccole! Forza apri la bocca … ecco … Non stringere i.. cristo! Cazzo mi hai fatto male.. No, stai ferm.. arrrggh … Che cazzo ti prede Joseph. Sono Marcus! … Merda … Gnnn … Prendi questo stronzo! … Anf.. ora che ti sei calmato … Vieni con me che.. mettitelo in spalla. Bravo e adesso attenzione che …”
“Questo è tutto quello che abbiamo recuperato dalla scatola nera capitano”
“Quindi sembrerebbe l’aereo dei due cadaveri che abbiamo trovato”
“Si capitano”
“E questo Marcus dovrebbe essere quello morto dopo per annegamento, giusto?”
“Non credo signore. Aveva gravi lesioni da caduta, signore.”
“Ma non l’avevate ripescato che dava ancora segnali di vita?”
“No. Questo di cui parla era il pilota. Pare che abbia nuotato fino al nostro ritrovamento con l’amico legato al paracadute”
“Roba da matti. E perché mai avrebbe dovuto trascinarselo dietro?”
“Non lo sappiamo capitano. Ma quando l’abbiamo ripescato ha detto solo una cosa e poi è morto”
“Ovvero?”
“Cocktail”
Un racconto che può sicuramente essere migliorato e che mi ricorda di quanta strada devo percorrere. Dico questo perché tutto è iniziato come un voler esprimere una sensazione di ansia, adrenalina e paura. Cosa c’è di peggio di ritrovarsi in mezzo all’oceano con qualcuno alle calcagna che non ti da pace nemmeno di morire tranquillo? Probabilmente tentare di diventare uno scrittore.
Comunque sia credo sia palese come invece il bisogno di una trama, anche se solo una traccia.. una sporcatura (e non faccio battute di scarsa fattura). Questo è un racconto che, con qualche leggera modifica, vedo molto con delle illustrazioni ad accompagnare il senso di disagio.


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