Una Vita
“Un forte applauso per il piccolo Gio che ci recita la Favola del trattore!”
Il cuore a mille, i riflettori non abbastanza potenti. Gli adulti che lo osservano e lui osserva loro.
La Favola del trattore. L’ha ripetuta centinaia di volte alla mamma, se pur con un po’ di difficoltà. La sapeva. Avrebbe giurato che la sapeva.
Ma non in quel momento. Non davanti a tutti. A così tante telecamere pronte a non perdersi ogni sua indecisione, ogni sua mancanza.
Sta lì, immobile, davanti a un pubblico poco esigente. Ma questo Gio non lo sa.
Rimane inpiedi per un paio di minuti quando vede la maestra che da dietro la tenda pronuncia muta l’inizio della favola.
A quel punto ricorda. La sa, la sa tutta!
E comincia:
“Al di là di un ruscello, c’è un vecchio e piccolo cartello con su scritto…”
Poche parole. Poche parole soltanto e Lorenzo gli tira giù i pantaloni.
Bianche con dei cagnolini erano le mutande, leggermente sporche dietro. Viola era la faccia appiccicata, con un’espressione di terrore, a un corpicino impietrito.
I bambini ridono e i compagni di classe lo deridono. I genitori filmano senza sosta e senza compassione. La maestra si copre gli occhi davanti a quell’imbarazzo senza porgere aiuto alcuno. Ma i suoi genitori fanno la cosa più brutta di tutte. Rimangono indifferenti.
Il respiro di Gio diventa irregolare e gli occhi si coprono di nubi grigie che vanno a togliergli la vista.
In un attimo il buio. Ma poco prima di perdere i sensi il coro:
“Gio cagamutande! Gio cagamutande! Gio cagamutande! Gio cagamu..”
In un attimo l’inizio.
I respiri, rapidi e veloci, sincronizzati con i battiti del cuore.
Le ginocchia irrigidite chiedono di distendersi. Gli occhi, un po’ chiusi e un po’ aperti, non trovano differenze. Il sudore di uno spazio angusto.
L’anta dell’armadietto che si apre e una mano lo afferra.
Prima di parlare un pugno nella pancia.
“Ti sei trovato bene nel tuo nido?”
Gio fa cenno di si. A Lorenzo non piace la risposta e a tradimento gli tira una manata sui coglioni.
“Davvero? E come fai allora ad andare da Anna a chiederle di uscire?”
Gli altri ridono. Gio piange bagnando le piastrelle marroni pensando solo agli otto mesi successivi.
Solo otto mesi. Solo otto mesi. Solo otto mesi…
I passi echeggiano frettolosi e incerti sotto le volte. Le aule sono distanti tra loro.
Appoggiato, a fumare all’ultima colonna, Lorenzo.
“Gio, vecchio stronzo! Come stai?”
Un tremolio della testa in segno di gentilezza. Una pacca sulla spalla come risposta.
“Cosa c’è, sei agitato? Non ti picchio mica, stai tranquillo. Sono finiti i vecchi tempi. Aspetta.. com’è che era? Gio caga… cagamutande! Ti ricordi?”
Spalle strette e sguardo fisso al pavimento.
“Senti, ho sentito che ti piace ancora Anna. È vero o no? Vecchio mandrillo. E a Proposito di Anna volevo farti vedere una cosa.”
Tira fuori il cellulare e gli mostra la foto sul display, troppo in fretta per essere una cosa improvvisata.
“Vedi, quella è Anna.. e il cazzo è il mio! Ahahahah… perché te ne vai? Non vuoi più chiederle di uscire?”
L’asfalto è scuro dall’umidità. La strada è deserta e alcune erbacce crescono dalle spaccature.
“Sai perché mi è sempre piaciuto il baseball? Perché mi piacciono le mazze che usano. Il suono che fanno, la traiettoria che prendono”.
Poco più avanti delle formiche esaminano il dente con le antenne.
“Ho pensato al martello, ma le ossa si rompono troppo in fretta. È meglio qualcosa che ti faccia assaporare il momento.”
Intanto a terra cerca con le dita di fare appiglio per trascinarsi via.
“Ma allora ti muovi ancora. Aspetta, lascia che ti aiuti..”
La mazza cade sulla mano riempendo ancora di urli l’aria fredda. Il vapore gli esce denso dalla bocca assieme a sputi di sangue.
“Ti ho fatto male? Spero di si! Anche Anna sarebbe contenta di vederti, dopo quello che le hai fatto. Nonostante l’amore fra voi due, no?”
Un calcio nel costato per farlo girare su un fianco e un altro per metterlo pancia all’aria.
“Ma.. cosa ti ho fatto?” Gorgheggia con la bocca rossa.
“Cosa mi hai fatto?!” Esclama Gio ridendo “Ora te lo spiego…”