Ogni tanto mi devo forzare per ricordarmi che questa rubrica non fa recensioni di fumetti, ma ne dovrei parlare come se fossimo tra amici al pub: quello con le freccette e il barista ubriaco. Quello in cui hai colpito con le freccette. Quello in cui ora non possiamo più entrare. Hai presente?
Quindi cosa dire?
Bisogna leggere i grandi classici quando vuoi lavorare nel campo. E dopo troppo tempo ho letto Contratto con Dio. Bravo. Grazie.
E farò una cosa forse sbagliata (ma che faccio in realtà ogni volta), ovvero ne parlo senza essermi documentato prima. Così, per mettere un po’ di brio. Perché per essere un classico ci saranno vari motivi per spingere la gente a dire che è la prima graphic novel. O, banalmente, che è un capolavoro.
Ecco, io ho sempre pensato che una graphic novel non potesse essere una raccolta di storie.
A quanto pare vengo subito smentito, perché in questo volume ce ne sono di fatto quattro. Non so perché ma sento una resistenza dentro a farmi accettare questa cosa. Ma forse è solo un fatto che mi sia alzato alle sei e mezza, stamattina, e comincio ad avere il sono che mi schiaffeggia le palpebre.
In ogni caso le storie sono intense – soprattutto la prima che dà il titolo al volume – ma fini a se stesse. Non hanno un vero e proprio arco narrativo (come giusto che sia per brevi storie), fatta forse eccezione sempre per la prima. Essendo così brevi non ho avuto modo di essere tanto coinvolto emotivamente… ma forse questo è un problema mio che piango solo con le mie di sceneggiature… mentre friggo cipolle.
(Ma quanto fanno schifo i titoli dei miei articoli?)
Pensandoci, effettivamente, è poco fumettistica come scelta, ma più romanzata, raccontando la miserabile vita di miserabili individui in un miserabile quartiere. Kafkiano, direbbe qualcuno.
Apriamo una friggitoria di cipolle, direbbe qualcun altro.
Infine, viene spesso elogiata la capacità di Will Eisner di dividere le vignette di una tavola con gli elementi delle vignette stesse e non utilizzare la closure classica. Penso sia davvero così, apprezzabile, dato che ammetto – con un pizzico di vergogna – che queste scelte stilistiche sono inserite così bene che non mi sono accorto di averle incontrate. Solo andando a risfogliare il volume per scrivere queste quattro belinate inutili che stai leggendo, che mi sono accorto di averle avute sotto il naso.
Detto questo, detto tutto.
Lo so, lo so. Nulla di pazzesco a ‘sto giro (come se prima…) però vedila così: ho preferito scrivere qualcosa un po’ inutile che saltare un venerdì insieme a te (*coff coff* lecchino *coff*).
Detto questo ci rivediamo lunedì con la rubrica dal titolo “Opinioni disinteressanti!” (sottotitolo) “le prime opinioni che privano dell’interesse… alla vita”.
Ciao.
P.S: I “Coff coff” di prima sono colpi di tosse. Lo chiarisco per mia madre (che saluto).