La minaccia del collegio

Ti saluto con un comunissimo buongiorno (e fino qui…).
Se l’inizio è un po’ strano è perché mi sono detto “Gimmi…”, era da un po’ che non mi chiamavo da solo. Mi son detto “Gimmi…”, che poi non è che davvero mi chiamo da solo, tanto meno chimandomi Gimmi che spero sia risaputo non essere il mio vero nome. Comunque…

“Gimmi…” mi son detto “oggi ti sei svegliato presto – bravo – e hai sonno. Ma non lasciamo arido questo lunedì e innaffiamolo di cazzate scrivendo cose senza sapere dove andiamo a parare. Scegli un argomento a caso – che sia semplice – e parlane male come solo tu sai fare (male)”.

Come detto prima non è proprio quello che mi son detto. Più che altro ho sentito solo il mio cervello piegarsi di lato e mollare un peto, però – come antico oracolo – ho interpretato così questo segno. Quindi, dopo questa lunga premessa, ti chiedo:
Anche a te, in età fanciullosa, minacciavano di mandarti in collegio?

Mia madre (che saluto) aveva questo asso nella manica ogni volta che facevo qualcosa di male o non facevo qualcosa di buono. Facevo i capricci? Ti mando in collegio. Non mangiavo i fagiolini? Ti mando in collegio. Puntavo su combattimenti clandestini tra galli? Ti mando in collegio.
E recentemente ho ripensato a questa minaccia educativa che vibra ancora al ricordo sulla mia nuca e mi sono chiesto:
Che cazzo è un collegio?

Ora, da quello che mi fu spiegato, la mia percezione era (ed è ancora) di una detenzione per bambini ostili alla società. Reietti, psicolabili e cannibali di ogni luogo venivano sbattuti in una cella quattro metri per quattro, con altri tre malcapitati, ad affilare manici di spazzolini con Paperino sui muri. Una valle delle lacrime ove non potevi vedere per tre mesi parenti o i raggi del sole. Dove non si poteva nemmeno portare una carta Pokemon, perché un Blastoise sarebbe stata merce di scambio per una stecca di sigarette.

Però, ecco, ho modo di pensare che non fosse così terribile.
Insomma, magari sarebbe potuta essere un’esperienza formativa. Ma da bambino qualunque frase cominciasse con “Guarda che…” veniva bollata automaticamente come punizione divina. E non erano poche: guarda che se non la smetti arriva il controllore che ti fa la multa; guarda che se non dormi ti prende l’uomo nero (che nel 2021 fa un po’ razzista); guarda che se non la finisci diventi cieco… questo mi veniva detto in età più avanzata e per l’eccessivo uso di collirio.

A ripensarci oggi – dopo dieci anni da educatore – non credo sia l’approccio migliore, quello di terrorizzare bambini con minacce del tutto falsate e trattare pargoli come rincoglioniti boccaloni. Le cose potevano esserci anche spiegate, no?
Guarda che se perdi i soldi nelle scommesse, e non estingui il debito, il cartello messicano ti viene a cercare. Penso che i bambini capirebbero e si procurerebbero subito uno spazzolino.

Ho finito la risma di cazzare randomiche.


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