Il mio rapporto con i social è agrodolce.
Ci siamo incontrati in un pub, durante una serata di poesia. Tutti i tavoli erano occupati, ma il suo aveva una sedia vuota. Ho chiesto se potevo sedermi e mi ha sorriso. Senza accorgercene, dopo poco, abbiamo smesso di ascoltare e i nostri bicchieri non facevano altro che svuotarsi e riempirsi e svuotarsi ancora. Eravamo ubriachi e felici come due bambini che facevano colazione con latte corretto e cereali.
Quando tutto sembrava andare per il meglio, mi dice “sono stata bene”. Sgancia un bacio in fronte e se ne va. Tutto ciò è capitato ancora e ancora e ogni volta fa male come la prima.
Ho seminato confusione?
Bene. Questo sproloquio iniziale era per dire che a me piacciono i social, mi ci diverto. Ma quando le cose si fanno serie non riesco andare avanti, e la voglia di continuare si allontana. Fastidiosa come cosa, soprattutto se consideriamo il fatto che è diventata una pratica oramai necessaria per l’86% dei lavori d’oggi giorno… soprattutto il mio.
Penso ci sia una paura di fondo, come quando sai che devi chiamare una persona, ma la tua mente continua a far scivolare sotto il divano quel pensiero mentre controlla che tu stia facendo dell’altro. Poi sposti il divano per togliere la polvere e dici “ecco dov’era!”. Lo metti in bella vista e di nuovo, la mente te lo mette sotto il divano, magari facendo anche un suono mentale lento, tipo fiiiiu. E tutto perché non è facile dire alle persone cose come “ci sono rimasto male” o “quello che hai mangiato non erano proprio chicchi di caffe coperti di cioccolato”.
Altra cosa mostruosamente difficile e farsi video – stories – in cui mi riprendo la faccia e dico cose.
Quale genere di ricetta c’è in giro per superare questo delirio che mi prende ogni volta che devo far vedere il mio naso pralinato? Olio, basilico, pinoli, Xanax e Parmigiano, un giro di mortaio e dritto nell’aorta con un ago di venti centimetri?
Tu lo fai?
Riprenderti, intendo, non del condimento letale. Per quanto riguarda me devo assolutamente superare questo timore prima o dopo, in un modo o nell’altro. Che sia tramite un pestato da iniettare nell’organismo o un lavoro di abitudine costante, devo superare questo disagio colossale. Sono certo di riuscirci, che ce la possa fare. Ma…
Mi sento ancora in quel pub, con qualcuno che declama la propria sessualità a microfono, con due bicchieri vuoti sul tavolo e del rossetto sulla fronte.