Iniziare a parlare di Dylan Dog non è proprio semplice.
Perché dubito esista una persona che abbia più di ventidue anni che non lo conosca; perché è una serie che va avanti prima che io scoprissi di essere un organismo pluricellulare; perché – soprattuttissimo – narrativamente parlando, fa cagare a livelli inimmaginabili.
Probabilmente, dopo l’uscita di questo articolo sarà difficile parlarne anche perché mi verrà fatta assaggiare una lama a serramanico passando dalla gola. Ma penso sia interessante riflettere sull’argomento nonostante in rischio morte.
Un minimo di contesto:
Fino ai ventisette, ventotto, anni non ho mai letto un fumetto della Bonelli – se non un paio di Martin Mystere. Poi, un’amica, mi fa che la zia vendeva un centinaio dei primi Dylan Dog* ed io – che non so tenermi un euro in tasca – glielo ho comprati in blocco.
Questo acquisto semi impulsivo è dovuto alla carriera che stavo andando a iniziare di lì a poco, quella dell’editor. Ho pensato: cerchiamo di colmare ogni lacuna possibile del nostro caro mercato italiano.
Ammetto anche che fossi intrigato dall’idea di scoprire perché tutti fossero così innamorati di questa serie. Così, BAM, comprati tutti, con tanto di speciali (li sto ancora leggendo perché alcuni sono pesantucci e li blocco a metà).
Andiamo sul tecnico.
Dylan – del passato – è un agglomerato di errori e indelicatezze che farli oggi si rischia l’espulsione dall’ordine dei fumettisti (mi piace immaginare che ne esista uno). Storie contorte, spesso scopiazzate – o che fanno “omaggio” – ad altre storie esistenti; con evidenti problemi di storytelling e dialoghi alle volte didascalici e pomposi.
Ma nonostante tutto questo c’è gente che non vede l’ora di farmi assaggiare la sua ricetta, coltello affogato all’amarena. Perché?
Questo è il quesito che mi spinge a riflettere su un aspetto molto interessante.
Perché una cosa che spesso viene detta è di contestualizzare, e ammetto che non sia semplice fare questa operazione. Contestualizzare vuol dire pensare che la violenza non fosse qualcosa di molto accessibile in quegli anni e che donne seminude fossero più difficili da scovare (la faccio breve e semplice). Oggi con internet abbiamo questo, e molto altro, continuamente.
Quindi immagino che la lettura di un Dylang Dog non serva per una soddisfazione su un piano narrativo, ma su quello trasgressivo. In quegli anni chi lo leggeva cercava qualcosa che non trovava da altre parti. Riuscire in questo aspetto ti lega a un personaggio immaginario più di molte altre cose, come vignette posizionate nell’ordine di lettura corretto.
Faccio tutta questa riflessione e il mio desiderio di dare una risposta a questo grande perché? si placa. Ma ciò vale solo per chi ci è cresciuto. E ragazze e ragazzi che lo leggono oggi?
Beh la risposta è semplice: sono stupidi.
Calma calma. Era ovviamente una provocazione.
Non lo penso sul serio. Però mi chiedo cosa ci trovino di così accattivante. Sarei curioso che qualche persona me lo spieghi (occhiolino occhiolino).
Andiamo alla conclusione… e lo so, hai ragione. Questo articolo è stato superficiale e approssimativo. Le riflessioni fatte sono probabilmente anche scontate; chissà quanta gente ne ha scritto prima di me in modo serio.
Prendila per una chiacchiera informale al bar. Un sacco di gente parla di cose che non sconosce. Io l’ho solo lanciata lì per aver un altro articolo da far uscire il venerdì. Se pensi che qualcosa non sia corretto parliamone pure nei commenti che sono sempre molto contenti di mettermi in dubbio…
Ed evitare di avere un tagli sulla giugulare al retrogusto all’amarena.
*Quando dico “dei primi numeri di Dylan Dog NON intendo il primo. Puoi evitare tutta la trafila per scoprire dove abito e venirmi a derubare.