Wanted Lucky Luke: intrecci e palette.

Mi sono fatto prestare – perché la povertà è uno stile di vita – Wanted Lucky Luke.
Un piccolo tuffo nel passato, quando da bambino mi leggevo le storie del pistolero più veloce della sua ombra con la stessa attenzione di un pargolo che guarda solo le figure. Perché sì, lettore o lettrice che tu sia, da bambino ero stupido. Ora invece… pure.

Come al solito parlo di sensazioni, perché non so nulla di Matthieu Bonhomme, di cosa ha fatto e perché. Quindi, sempre come al solito, prendi queste parole per quello che sono. Parole.

Autore unico di quest’opera si può notare subito un tocco di finezza rispetto le tavole molto colorate delle vecchie storie degli anni ’40. La palette, con tonalità varie dal rosso e del blu, è decisamente suggestiva e regala una strana e funzionale sensazione di oppressione e fatica.
Scelta accurata anche per quanto riguarda alcune inquadrature evocative. Se dovessi sbilanciarmi: belle.
E fino qui ho scritto come una persona, quasi, normale. Bravo Gimmi.

Per quanto riguarda la storia mi vedo combattuto.
Non che sia brutta, ma mi ha lasciato quel non-so-che di incompiuto. Forze – e dico forze – è la scelta di legare due concetti forti in una trama da sessantotto tavole. Ovvero: la taglia sulla sua testa (non lo chiamerei spoiler, visto il titolo) e l’incontro con le tre fanciulle (… vista la copertina).
Mentre c’è chi vuole Lucky morto, le tre giovani brillanti mandriane fanno a gara di chi gli stapperà un bacio (nemmeno questo è spoiler se si legge la quarta di copertina). Non dico che non possano stare entrambi questi concetti, ma li ho avvertiti un po’ stringati.
(Poi probabilmente sono io che amo le scene lunghe, mute, dove si vede solo il vento che scorreggia).

Nota a parte, mi son chiesto se – di questi tempi – una storia del genere possa far arrabbiare qualche femminista o derivati vari. Secondo me sì, ma non tanto perché sia un fumetto maschilista, ma perché se cerchi bene bene bene, c’è sempre chi si incazza per qualcosa.

Concludiamo velocemente.
Non è male come lettura, ma la consiglierei a chi non ha la povertà come stile di vita.

Ci vediamo lunedì, se – come l’ultima volta – non mi prende il brutto male azteco, detto:
‘nc’ho pe’ rcaz vogl.
Cia’.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...