Per il mio non-compleanno mi è stato regalato un fumetto.
Regalo molto gradito in quanto pensato, ragionato. Mette insieme due aspetti forti della mia vita: il desiderio intenso di aver figli e il mondo della disabilità (oltre che essere francese, il che – ricordiamo – è cosa assai positiva per me).
Infatti – brevemente – quello che è raccontato è il trauma, il disagio, l’accettazione e infine la gioia dell’autore di diventare padre di una bambina con la sindrome di down. Questa potrebbe essere una di quelle parti in cui snocciolo battute idiote a profusione, facendo del mio lavoro di educatore per disabili, bandiera sgargiante e poter dire cose stupide. Ma mi dispiace, non riesco. Sarà uno di quegli articoli seri che ti faranno chiedere “Gimmi, quando torni a parlare di merda?”.
Non è solo il fatto di avere tatto e non essere scherzosi su queste tematica (perché anzi, secondo me, è bisognerebbe fare esattamente il contrario per normalizzare e digerire una situazione del genere), ma proprio perché non ci riesco. Mi porta, invece a fare una riflessione ben diversa.
Non è te che aspettavo è una graphic novel che potremmo definire “informativa”.
L’aspetto che mi ha affascinato notare è che è priva di tutti quegli elementi che, normalmente, si usano per rendere accattivante un fumetto. Come mettere una situazione di suspense in fondo le pagine dispari (voltapagina), o non usare una quinternata di didascalia, o non rendere tutta una storia un grandissimo racconto al passato (tramite didascalie). Tutte queste cose, invece, sono presenti. Dovrebbero rendere il tutto una noia, giusto?
Sbagliato!
Il raccontare una storia vera – per quanto non ci sia una narrazione divisa in atti, con la svolta, la crisi e tutte quelle robe che si studiano nei corsi e manuali – lo si legge comunque in modo fluido.
Questo è uno di quei fumetti – tra l’altro – che secondo me dovrebbero essere introdotti nella lettura di tutti per accrescere una sensibilità a questo tema, ma in generale a tutti i temi. L’ignoranza che spesso ci portiamo dietro (lo dico senza cattiveria, ma oggettività che ci riguarda tutti e tutte) può essere smantellata con questa potenza narrativa. Tutto ciò mi ricorda il perché scrivo storie e della forza che in esse si cela.
Quindi…
Una buona opera per esorcizzare uno dei miliardi di problemi in cui l’essere umano si imbatte.
Acquistalo, leggilo, poi fallo leggere ai figlie e poi ai figli degli amici. Prestalo, regalalo, fanne un ologramma da proiettare su una montagna. Sono storie che fanno bene.
P.S: In caso tu abbia una mente maliziosa potresti pensare che tutte queste cose belle le scriva solo perché è un regalo e le persone che me lo hanno fatto potrebbero leggere questo articolo.
…
Figuriamoci!
Scherzi a parte, sì. Lo consiglio davvero.

Una risposta a "Non è te che aspettavo: quando l’affetto diventa fumetto."