Fatica casereccia.

Martedì scorso sono ricominciati gli open mic casarecci – come mi piace chiamarli – in un luogo denominato Giardini Luzzati, qui a Genova. Casarecci perché da anni, da quando sono cominciati, ho partecipato e ormai sono di casa.

Sono contento?
Molto. Anche perché è finalmente successa una cosa entusiasmante.
Ho scelto di portare un pezzo – rimaneggiato – di stand up tratto dal mio amato articolo Sfidare i limiti umani. L’ultima volta che ho trattato un argomento che esula dal mio personale, ma è un’osservazione su altre persone, è andata MALISSIMO (inserisci una voce distorta diabolica mentre leggi mentalmente la parola “malissimo”… riproviamo:è andata MALISSIMO!). L’ho già tirato fuori varie volte questo argomento e non ho ancora trovato il coraggio di descriverlo bene, quindi evito di farti crescere altro muschio sul perineo (qualunque cosa voglia dire).

A ‘sto giro però avevo una convinzione. Agitato, sì, ma mi sono detto “Gimmi!…” e poi mi son spaventato perché quando mi parlo da solo e sento la mia voce nella mia testa mi spavento sempre moltissimo (questa era una cagata gratuita, perdonami).
Mi son detto: “Gimmi! Se vuoi percorrere questa strada, sì che devi migliorare, ma prima di tutto ti devi divertire. Vai su quel palco e pensa che ci sia soltanto tu e la tua voglia di rompere il cazzo a un sacco di persone”. E dopo che il mio personalissimo Obi Wan Kenobi mentale è svanito, ho fatto un respiro e sono andato. Guarda, ti dirò di più! Ti linko anche il pezzo – in fondo all’articolo -, nonostante la fatica della serata.

Fatica?
Sì fatica! (Oggi vado con le auto-domande).
Fatica, perché non hai idea di cosa significhi salire su un palco senza spia (quella cassa che ti fa sentire la tua voce così sei sicuro che non stai strillando come mille ragazzine unite per il raduno dello strillo più forte su TikTok). Senza spia, dicevo, con duecento persone ai tavolini davanti a te che fanno aperitivo, ma delle quali centottantantadue non sapevano nemmeno della serata e sono lì per farsi i cazzi propri. Ciò significa, sudore e…? Esatto! Fatica.

Il risultato è stato alienante, comunque. Parlo di avere tante persone davanti che non ti stanno ascoltando.
Alienante perché, quando sei su un palco, la concentrazione – come si è abituati a pensarla – cambia. Ti concentri su determinate persone. Le vedi, senza vederle. Parli, senza sentirti. Entri in una bolla di suoni e luci in cui tu non sei realmente presente. In più era strano vedere quelle persone attente, in silenzio, che ti ascoltano… ma di sottofondo centottantadue persone che parlano, ridono, ruttano e pregano Bacco. Pareva un film di Linch.

Cosa ha comportato questo?
Ha comportato (che ho capito che conto su di te per le domande sto fresco) che perdessi un saaaaaacco di tempo a dire, fare, baciare, lettera e testamento cazzate per i primi cinque minuti. E forse non sai che in un open mic i minuti a disposizione sono – appunto – cinque. Qui mi è venuto in aiuto il casareccio prima citato. Tutti abbiamo sforato, ma ciò non toglie che sono andato molto lungo e una manina passata davanti rapidamente un collo mi indicava di accorciare… non un dito, eh! Una mano! Nessuno mi stava minacciando di farmi fuori, mamma!

Nonostante questo elemento agitativo ulteriore il mio divertimento non è stato intaccato. Sono salito – quindi – sul palco pensando che il nuovo obiettivo che sarei andato a ottenere fosse quello. Divertirmi. E così ho fatto. Questo dà un senso di gratificazione e speranza che, sì, ce la posso fare. Posso fare lo stand up comedian.
Ora devo solo far capire quello che dico a microfono.




Ecco il link: https://youtu.be/yHBdhHUCsKQ

P.S: Capisci che quest’esposizione digitale al pubblico non è roba da poco per me.
Quindi metto le mani avanti premettendo che l’agitazione era sovrana e il caos maestoso (ma l’ho già detto). La strada da percorrere è lunga e si vede tutta.


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