L’avevo promesso la settimana scorsa e penso sia giusto mantenere la parola data.
Riassunto. Nello scorso articolo c’erano i seguenti concetti sparsi: cubistine, il ballo fa girare il mondo, testicoli a yo-yo difettoso e – soprattutto – lounge bar. Spero sia stato chiaro, altrimenti spendi venti secondi e tornaci per una letta veloce.
Quello che più mi è rimasto impresso di quella serata è la teporosa sensazione di pace.
Ricordiamoci che c’è stato il Covid. Non andavo a ballare da anni. Prima del Covid non avevo ancora assunto l’elisir del trent’enne, che mi ha reso la persona matura di cui stai leggendo ora, capace di dire lounge bar… anzi no… capace di dire fuorool in modo molto maturo. (Cambiamo tormentone che lounge bar ci ha rotto un po’ il cazzo).
Prima del covid andare a ballare era una strana agonia.
Mi divertivo moltissimo, inebriato dall’alcol. Esperienze sensoriali che mi avvicinavano in qualche modo a Hemingway, Baudelaire o Bukowski. O così mi piaceva pensare… considerando che ho dovuto googlarli per accertarmi di averli scritti bene (… e no. Non ne ho azzeccato uno).
Ma c’era anche la parte negativa. La libido cresceva ed esortava anche la disinibizione a farle compagnia, ma questa no, non ne voleva sapere nulla. Quindi mi trovavo ubriaco e imbarazzato a sfiorare con il gomito un altro gomito di una Patricia Highsmith di turno (… ho googlato “scrittrici alcolizzate”). Rosso d’alcol e vergogna, impotente di fare nulla. Nemmeno “ciao, posso vomitarti addosso?”.
Dunque, frustrazione.
Grazie al Covid – vedi articoli passati che non ho voglia di linkare – la mia serenità è di molto fiorita, portando come conseguenza un desiderio più sano e pacato dell’approccio verso la prossima romanziera ballerina.
Tutta questa lunghissima premessa per dire, dunque, che – nonostante sfoggiassi il mio fascino da cubistina – in generale mi sentivo spettatore di quella serata. Mi è sempre piaciuto vedermi come osservatore distaccato, osservare le reazioni delle persone, le espressioni microscopiche, la loro prossemica. In una serata di ballo e cocktail come quella, si traduce tutto in “uno sbagliato con una fetta di disagio, per piacere”.
Due categorie spopolavano in quel rettangolo umido, con il metro tra i tavolini come altezza e il mio sguardo come base, ovvero: i cool e i fuori luogo. Non parlo solo del compleanno, ma in generale tutte le serate simili esistenti nel globo.
Io ero certamente un “fuori luogo”, ma – come detto prima – mi piace pensare di essere su un’altra vetta a fare birdwatching – il termine appena usato è utilizzato solo per la somiglianza dell’azione, anche se capisco che, in questo contesto, osservando uccelli si adatta meglio di quanto pensassi.
I cool se la credono moltissimo e stanno lì a seguire più i movimenti dell’obiettivo che i propri. E pensano a quell’altra cosa che a loro veduta fa girare il mondo – né il ballo né la danza. E quello sguardo socchiuso e languido, mi dà i brividi. Si usano termini come “andare a caccia” e la cosa rende il tutto ancora più bieco attraverso le mie lenti binoculari.
Potrei andare avanti ma mi mette un po’ di tristezza – vera tristezza – vedere che c’è chi mette il sesso in un posto così cruciale nella propria scala di valori, tanto da perdersi molto altro. Ma comunque…
Rallegriamoci con i fuori luogo.
Stanno lì a replicare tutto quello che sanno sulla danza, con movimenti tendenzialmente legnosi, pensando a cose che spaziano tra il “cosa ci faccio qui?” e il “fra un attimo… fra un attimo mi butto e rimorchio anche io… fra un attimo”. O almeno credo a giudicare dallo sguardo spento che galleggia dal bicchierone di plastica. Sono buffi e me ne dispiaccio – in quanto sia uno di loro – ma, mi rallegro pensando che alla fine è più sano per loro (e per me).
C’è anche chi è un misto dei due e sono particolarmente rari. Potremmo chiamarli i fuorool [commento sul fatto che ho già usato questa parola a caso prima].
Se lo scorgi, facci una foto e rivendila al National Geographic, perché sono proprio belli da vedere. Scruto la loro spigliatezza e un po’ li ammiro. E di solito lo faccio. Vado lì e stringo la mano loro, faccio un complimento – un complimento qualunque – e poi mi congedo con una pacca sulla spalla. Maschio o femmina che sia. Questo è lo spirito! Disinibiti, ma non credersela troppo come un leone in discoteca.
E quindi niente, andiamo a concludere perché è divenuto un po’ lungo questo articolo.
Ti saluto dicendo che io mi sono sentito tranquillo e distaccato. Un osservatore silente e composto. Ma a quanto pare è la mia personale percezione. Altre testimonianze mi hanno invece confermato che ho fatto il coglione tutto il tempo.
Ciao!
Una risposta a "Imbarazzo in prosa."